BRUNO TOLENTINO
(1940 - 2007)
TOLENTINO, Bruno. O mundo como Idéia 1959 - 1999. São Paulo: Globo, 2002. 445 p. 16x23 cm. “ Bruno Tolentino “ Ex. bibl. Antonio Miranda.
I FALCHI
Dicono: "Lascia stare, anche di luro
ti scorderai, perche è cosi Ia vita;
cê il 1juio ormai, non cê piü Vala. d'oro,
hai torto di stupirti che sconfitto
cada ogni foiço dália sua altezza..."
II sogno che sognai dell'infinito
era ancora promessa ed ogni ebbrezza
ad ogni altezza mi sara rapita,
tutto è troppo mortale e ben Io só.
Eppur quel giovanotto li portava
ben aggiustati ai cuore, erano lava
e vulcano, e nessuno, e niente può
tagliarci in due, quei miei falchi ed io.
Non ho mai imparato a dire addio.
IL GORGO E LE ClTTÀ
A Corrado Calabrò
Di sera, con troppe certezze,
eravamo arrivati,
la sera d'estate.
Roma dormiva colle vene aperte,
la stupenda carogna all'abbandono
sembrava fatia a pezzi;
nei piazzali deserti,
sulle strade persino sgomberate
dal solito frastuono
delle macchine,
ogni tanto passava una figura,
due occhi senza vita
ci guardavano in faccia
e scomparivano fra due mura.
In tutto quel deserto
neanche un solo paio d'ubriachi,
un ladro, niente! Una qualsiasi minaccia
ci avrebbe almeno offerto
una via d'uscita...
II
Siamo andati a guardarla da lontano
— d'in su la cima! —
e a Monte Mario manco un solo paio
di civette! A quell'epoca dell'anno
c'erano sempre almeno un centinaio,
appena un anno prima
le davamo per scontate.
Chi mai ci aveva tolto
persino quelle bianche sentinelle
della quiete, dove erano passati
quei vecchi segni nostri
del buio, della, notte? Quella sera
dove erano quei mostri?
III
Se l'anima invaghita dalle stelle
va inghiottita anche lei dal gorgo muto,
ciò che non si rammenta,
ciò che a lungo si lascia s'annera
(s'annoia, forse) e poi
s'allontana da noi.
Ogni posto da molto
lasciato da se stesso s'impietrisce
e in quel silenzio secco l'assoluto
pian pianino diventa
lo squallore in cui l'anima infelice
non vede più che il vuoto.
IV
E io che infine rincasavo! Pieno
di sicurezze (le certezze secolari
dell'anima distrata...),
lì, fra quei marciapiedi,
non riuscivo nemmeno a ritrovare
la via amata, il seno
della Lupa... Riccordo d'aver chiesto,
un pò come fra i denti:
"Dove è passato il mondo? Chi Io vede?"
V
Sorpreso, quell'amico
sorride e mi rispose:
"Dormono tutti, le case, le cose,
la gente..."
Senz'altro; ma quel sonno era dipinto
sulla pelle del nulla! Non mi sono convinto:
"Davvero non ti fa senso tutto questo?
Dove è quel mondo antico?
Guarda: nell'ombra agosto
più non brucia, c'è un vuoto sottoposto
ad ogni volto, tutto è troppo spento.
Riconosci nel vento
il rimorso dorato delle foglie,
l'Autunno sotto i nidi e più vicini,
ma no come una volta, i monti, i colli...?
La notte ferma gli occhi, oppur si scioglie
e ci sfugge, qualcosa sui confini
pare che ci respinga, come ai cani.
Le palpebre s'affreddano, e lo stinto,
10 sguardo scivola al di là dei pini,
svuotasi anche il sangue
e gli accordi tramontano, lontani..."
VI
Così forse si scopre il labirinto,
chi sa come le cose tanto amate
ci scompaiano attorno!
Dell'informe mattino di quel giorno
come di qualunque luogo vi dico,
cittadini del mondo: badate
alle cose lontane lasciate!
L'eternità tradisce, porta via
il tempo il più sentito, l'allegria,
il dolore, pezzo per pezzo
tutto scompare, tutto! Poi, a volte,
sulle rovine, in mezzo
alle ore sciupate,
fra le immagine sciolte
si rivede Didone all'orizzonte
— guardandone lunge la stria
del nulla, della barca
che s'avvia — ma chi mai vede Caronte?
Chi fra noi vivi sa
dove ci porta tanta eternità?
VII
La notte porge il latte delle stelle
e spazza via il mondo di Fiatone,
ma sul letto d'ottone,
nel disio vissuto, sulla pelle
del buio manca il morsico, la marca
delle ore a lungo amate.
Non durano neppure
le dolci sfumature.
VIII
Eppure noi, girovaghi distratti,
ormai raggiunti all'Aventino, in due,
con due certezze ciascuno
ci credevamo a casa! Ma chi sa
ciò che hanno visto i santi, qualche frate,
l'Angelico sommerso fra le sue
irraggiungibile immobilità...?
Lui, il Buonawentura,
e il Cimabue,
e il Bernini, e il Bramante,
fra le rovine, sulla spazzatura,
tanti avevano già
sognato, poi dipinto altre città!
Duccio da Buoninsegna,
poi il Ciotto e il Masaccio, e tutti i quanti,
ci hanno detto e ridetto
che lo sguardo si sveglia ad ogni istante,
che l'anima va desta quando sdegna
non l'eterno o le forme, anzi soltanto
quel altro mondo detto
della sacra civetta, fra l'iddio e lo schianto.
IX
S'avvicinava l'ora,
l'oro dell'alba, e le statue degli invinti
scambiavano ancora
gli stessi sguardi fissi; eppur ciascuno
di tanti occhi mi sembrava l'uno
l'occhio vuoto dell'altra...
"Ormai (diceva il corpo) so che siamo
dappertutto stranieri, respinti
dai luoghi come il pianto dalle labbra..."
Ed era vero: mi sentivo scabro,
ero lì come sta
sull'alto di una lettera una data.
Ero un'ombra e cercavo una città.
X '
Veniva giù lo schianto del mattino
come ormai l'avevamo sospettato:-
non più sangue dal gorgo sostrato,
tutt'altro ormai — persino
il fiume ci pareva più lontano,
fredda stria de luce pian piano
ad avviarsi indifferente al mondo.
M'è venuta la voglia
di tuffarmi in quel buco senza fondo,
scomparirci, oppure
abbandonarmi e lasciarmi condurre
verso le ultime stelle rovinate
— io, la prima foglia
caduta quel estate.
XI
Lieto di coricarsi il corpo scade,
si tirano le tende e tutto tace,
poi s'avvicina l'Ade.
Tardi quel giorno ritrovai la pace,
ma Roma non m'apparse,
non la rividi più.
Cercavo ancor l'aiuto, la catarse,
e verso Ferragosto mi trovai
solo sull'Apia Antica,
fra i pini amati da una cara amica;
qualcosa mi diceva di lassù:
"Qui la terra promessa
è scaduta, e lo sai..."
XII
Davvero lo sapevo; ed infatti
l'indomani dormivo a Recanati,
mi svegliavo alle sei ed insieme al tramonto
arrivavo a Ravenna
a tempo per la cena.
Tutto è immobile lì, persino agosto.
A Ravenna ad ognuno è concesso
tuffarsi nell'istante e ritrovarsi
nell'altronde, sul limite permesso
all'anima smarrita in questo mondo.
Le voci oracolari si confondono
colle musiche stesse del gorgo,
e può darsi
che qualcosa d'inutile in quel posto
ne facia ancora — o sempre — il vero luogo:
l'unico dove nulla s'impietrisce.
L'avevo ormai capito, sentivo che il rogo
non s'era mica spento:
in su le vette, fra le cime il vento
cantava come la fenice.
Página publicada em julho de 2015
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